"Progettare un agire responsabile per il futuro", l'esperienza di Pol.i.s. nell'IPM di Airola

Logo Polis

La quinta giornata del progetto portato avanti dalla Fondazione tra i giovani detenuti della casa circondariale di Airola ha avuto come protagoniste le parole. Parole pesanti, dense di significati, sulle quali hanno riflettuto i ragazzi che hanno preso parte al laboratorio, realizzato da Pol.i.s. su mandato della Regione Campania, nell’ambito del progetto del Ministero della Giustizia “Progettare un agire responsabile per il futuro: servizi e comunità a favore delle vittime di reato e percorsi di giustizia riparativa”.

Le parole venivano dal libro di Lucia Montanino e Cristina Zagaria, “Storia di un abbraccio”, che racconta la dolorosa storia di Lucia, a cui nell’agosto del 2009 un commando di ragazzini armati uccise il marito, Gaetano. Ma la storia di Lucia è anche una storia di rinascita, sua e di uno dei giovani che faceva parte del gruppo di fuoco. Una storia che, oggi, vede Lucia essere un punto di riferimento positivo nella vita del giovane ex detenuto, una guida per lui e la sua famiglia. E Lucia pratica e crede nella “riparazione”, in un percorso di riflessione per cui porta la sua storia in nei penitenziari e degli istituti di pena minorili.

L’incontro si è aperto con la lettura di uno dei passi più toccanti del libro e della storia di Lucia, ovvero quello in cui si incontrano per la prima volta la ‘vedova’ e ‘l’assassino’. Lei pensava di incontrare un mostro, ma si è trovata davanti un ragazzino tremante; lui pensava di incontrare una donna in cerca di vendetta, temeva uno schiaffo, ma ha incontrato un abbraccio.

“Riparazione”, “punizione”, “consapevolezza”, “giustizia”, sono state alcune delle parole che i ragazzi hanno pescato da un cestino, e sulle quali si sono pronunciati. Una escursione dentro loro stessi, attraverso gli errori che li hanno portati tra quelle mura, e i buoni propositi per quando si tornerà ‘fuori’. 

Il laboratorio è stato un viaggio che gli ha mostrato una nuova prospettiva, e ha fatto incontrare loro, oltre che con Lucia Montanino, anche con altri familiari di vittime di reati. Incontri che probabilmente i ragazzi ritenevano impossibili, irrealizzabili, ma che sono avvenuti, proprio lì, tra quelle mura dove sono ristretti. Attraverso i loro racconti, ma anche con l’analisi delle parole, questo laboratorio ha gettato un seme, che vogliamo credere possa generare qualcosa di positivo, una pianta da curare una volta ‘fuori’.