Al Teatro San Carlo di Napoli, in occasione de "I vespri siciliani" di Giuseppe Verdi, per la regia di Emma Dante, il 24 e il 31 gennaio 2024 sono state esposte sui palchi del Massimo Napoletano, durante l'opera, le effigi delle vittime innocenti di reato della Campania. La regista, infatti, ha interpretato l'opera come la ribellione del popolo siciliano contro i soprusi della mafia, portando in scena i gonfaloni recanti i volti delle vittime innocenti di cosa nostra, uccise per la loro opposizione alle logiche mafiose. Di seguito il testo pubblicato nei depliant esplicativi composto dalla Fondazione Pol.i.s. della Regione Campania:
La bellezza della memoria, dei volti delle vittime. Nei loro occhi, nei loro sguardi, si celebra la vita che hanno saputo incarnare in ogni loro gesto, una vita, in molti casi, sacrificata per il valore della giustizia, del bene comune, l’amore per i propri cari, per gli amici, per la famiglia, per una società altra. In questa maniera il dolore dei familiari delle vittime innocenti di reato diviene verità, una verità che si svela attraverso la testimonianza delle parole e dei gesti, che tracciano percorsi di vita da seguire. In comunione con le vittime siciliane e i loro familiari, e rappresentando tutti i caduti a causa di un reato intenzionale violento, per “I vespri siciliani” di Emma Dante i familiari sveleranno ancora una volta la bellezza dei propri cari, in un luogo sublime, iconica immagine dell’arte che Napoli, tra i suoi tormenti, ha saputo donare al mondo. Un evento che renderà indelebile alla memoria della città l’ingiustizia subita, una ingiustizia che rifugge dalla vendetta e si fa testimone di una possibilità “altra”, ovvero quella di scegliere di resistere e di provare a tracciare scenari di cambiamento. Un cambiamento possibile nel nome di ciascuna vittima, di criminalità organizzata, caduta nell’adempimento del proprio dovere verso lo Stato, di terrorismo, delle tante donne vittime di una violenza efferata, della criminalità cosiddetta comune, che di questo termine non ha proprio nulla. Un cambiamento capace di rigenerare ogni angolo di queste terre, sublimi per la cultura che hanno trasmesso all’intera umanità e terribili per il carico di dolore che portano.
La potenza della testimonianza…
La potenza dell'arte…
La potenza della verità…
In ciascuno di loro è possibile rintracciare la storia di un’epoca e guardarla dalla parte giusta, ribaltando i modelli oggi vigenti che vedono sempre più crescere le finte mitologie dei mafiosi e dei narcotrafficanti. Come Emma Dante ha avuto la sapienza di rappresentare i mafiosi come invasori, ovvero estranei, alieni rispetto ai cittadini siciliani, così i volti delle vittime innocenti campane gridano a ogni angolo che il protagonismo è di colui che agisce in nome del giusto, di una fermezza mite che dinanzi alla violenza frappone il proprio corpo, inerme per scelta, umano in quanto incapace di rendere male per male. Il sangue dei martiri rigenera la terra, la luce che si staglia su quelle icone, a partire dagli anni ’70, ribalta tutte le visioni mediatiche dove l’esaltazione del male la fa da padrone, e riporta alla verità di donne e uomini, madri, padri, figli e fratelli, in qualche caso anche nonni, che da quelle mani insanguinate di sopruso e prevaricazioni sono stati sottratti all’affetto di chi continua ad amarli. Riconduce a una storia diversa, segnata dalle loro effigi, fatta della memoria del tempo e non del defluire della cronaca. Una memoria che mostra l’emergere e il diminuire di fenomeni, la crescita di altri, esortando tutta la società civile a rimanere sveglia, a vigilare gli uni sugli altri affinché nessuno sia vittima di violenza, proprio come la nostra Fondazione auspica e realizza con gli atti concreti di ciascun giorno. Pol.i.s. come politiche integrate di sicurezza, ma Polis come la città greca, comunità per antonomasia che si fa carico dei bisogni di ciascuno per realizzare il benessere di tutti. Una comunità basata su coloro che hanno dato la vita per fondarla, che con le loro azioni hanno irrigato la terra, credendo che il bene, alla resa dei conti, ha una parola definitiva sul male e che anche il condannato, alla vista degli occhi delle vittime, di quegli occhi chiusi ma mai spenti, può cambiare la propria rotta e ripartire al servizio della comunità.
Questa è la ribellione del Ventunesimo Secolo, la rivolta contro un concetto che vede i fenomeni devianti indomabili, come idre pronte a rispuntare non appena si sia risolto un problema. Una ribellione che parte da un dolore condiviso, messo in comune dai familiari delle vittime con gli altri familiari delle vittime, e reso disponibile a ciascuno di noi, ciascun cittadino, che conoscendo le storie di quei volti può essere capace non solo di non voltare le spalle, ma di avanzare su quelle strade di giustizia che generano la comunità. Strade che l’arte ben conosce, capace di sublimare ogni afflato dell’anima in una voce, in una melodia, in una rappresentazione scenica, mediante la storia che si trasforma in racconto, come l’animo siciliano ben conosce. La nostra storia, il nostro racconto, è fatto di quelle lacrime, di quel sangue versato, di quegli abbracci mancati, che gridano alle viscere più recondite di ciascuna anima, e chiedono di essere ricordate per cambiare il mondo.