L'esperienza di Pol.i.s. con i giovani di Airola e Nisida

Nisida

La Fondazione Pol.i.s. della Regione Campania sta compiendo un passo, quello di avvicinare i familiari delle vittime innocenti di reato, che sosteniamo e accompagniamo, con i minori sottoposti a misure restrittive.

Sedici ragazzi, sedici storie diverse ma tutte complesse e chiuse in un luogo da cui non si può uscire, stanze e saloni che provano a mostrare un’alternativa di vita diversa da quella per la quale sono qui.

“Qui” sono gli istituti minorili di Airola e Nisida, dove si stanno svolgendo questi incontri, su mandato della Regione Campania nell’ambito del progetto del Ministero della Giustizia “Progettare un agire responsabile per il futuro: servizi e comunità a favore delle vittime di reato e progetti di giustizia riparativa”. 

I ragazzi, ovviamente, sono quelli che nei due istituti stanno scontando le loro pene. 

Sono incontri ad altissimo tasso emotivo, tra i ragazzi e i familiari delle vittime innocenti di reato. Sono momenti che hanno quasi una sacralità laica, in cui si incontrano due mondi solo apparentemente contrapposti, ma che inevitabilmente finiscono per completarsi a vicenda.

E così, l’equipe della Fondazione Pol.i.s., nel corso delle prime due giornate del progetto, insieme con Lucia Montanino, Emanuela Sannino, Francesco Clemente e Peppe Granata, familiari delle vittime innocenti, hanno incontrato alcuni ragazzi detenuti presso il carcere minorile di Airola, nello splendido teatro della struttura, e poi nella struttura di Nisida.

Lucia, Emanuela, Francesco e Peppe hanno raccontato le loro storie di dolore, ascoltati con attenzione e concentrazione dai giovani reclusi. Occhi fissi su di loro, mani intrecciate ed espressioni interessate, i ragazzi si sono immersi nelle vicende narrate cercando di capire come potrebbe essere possibile andare ‘oltre’.

Oltre il loro stesso reato, per capire ‘dall’altro lato’ come si è vissuto quel tragico momento, e come sia stato possibile andare avanti. E, nel caso dei familiari presenti, convertire tutto il dolore patito in azioni e strumenti per fare in modo che non accada ad altri. E ancora, nel caso di Lucia, capire come sia possibile perdonare e quasi adottare chi ha partecipato all’assassinio di suo marito.

Davanti ai ragazzi dunque si è aperto un orizzonte nuovo di possibilità finora mai considerate e poco esplorate, un diverso modo di vivere anche i drammi che a volte la vita presenta.

Il senso del progetto, e in generale della giustizia riparativa è essenzialmente questo: provare a mettere l’uno di fronte all’altro “vittime” e “carnefici”, per capire, laddove esista, il percorso di entrambi a partire dall’evento che li ha visti protagonisti in poi. Se e come è cambiato qualcosa, e come tesaurizzare questo cambiamento.

Le testimonianze di Lucia, di Emanuela, di Francesco, e di Peppe Granata ad ad Airola e Nisida hanno donato ai ragazzi la possibilità di una nuova prospettiva; un punto di vista forse per loro inedito, in alcuni casi anche in un primo momento inaccettabile, ma sicuramente in grado di aprire una breccia nelle loro convinzioni. 

La Fondazione oggi è anche questo: trovare una strada condivisa, insieme ai familiari delle vittime innocenti, affinché la loro testimonianza possa spronare questi giovani a cambiare prospettiva.