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Angelamaria Fiume

Angelamaria Fiume

Data dell'accaduto: 27/05/1993

Luogo dell'accaduto: Firenze

Anni: 36

Vittima di mafia

Breve storia dell'accaduto

Il 27 maggio 1993, pochi minuti dopo l'una del mattino, a Firenze, in via dei Georgofili, si verifica una terribile esplosione, che sconvolge il centro storico della città. L'esplosione distrugge la Torre dei Pulci, sede dell'Accademia dei Georgofili. Sotto le sue macerie muoiono la custode dell'Accademia, Angelamaria Fiume in Nencioni, originaria di Napoli, e i componenti della sua famiglia: Nadia Nencioni di nove anni; Caterina Nencioni di un mese e mezzo, Fabrizio Nencioni, di 39 anni.  

Si incendia inoltre un edificio di via dei Georgofili e tra le fiamme muore Dario Capolicchio. Trentotto persone restano ferite. Subiscono gravi danni numerosi edifici della zona, la Chiesa dei Santi Stefano e Cecilia e il complesso artistico monumentale della Galleria degli Uffizi. Dipinti di grande valore restano distrutti mentre il 25% delle opere presenti in Galleria subisce gravi danni. A determinare l'esplosione una miscela ad alto potenziale collocata all'interno di una vettura. 

I processi hanno accertato che i mandanti e gli autori materiali della strage sono esponenti di cosa nostra e che ad ispirarla è stata una sorta di dichiarazione di guerra nei confronti dello Stato Italiano, da realizzarsi attraverso una precisa strategia di tipo terroristico ed eversivo. 

L'obiettivo ultimo di questo periodo stragista è quello di costringere lo Stato Italiano alla resa dinanzi alla criminalità mafiosa. 

Dopo i fatti del 1992, che avevano determinato la morte dei magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e delle persone addette alla loro tutela - lo Stato aveva reagito elaborando normative penitenziarie di rigore a carico degli esponenti di mafia (il noto art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario) e normative di favore per quegli esponenti della criminalità organizzata che decidevano di collaborare con gli organi di polizia o giudiziari.

Dalle sentenze si legge che l'azione repressiva nei confronti dell'organizzazione criminale di stampo mafioso ha messo in evidenza in maniera chiara e inequivocabile la volontà dello Stato di  intaccare  la "presunzione di onnipotenza e di libertà" dei capi di mafia. E da qui  prende avvio la politica stragista dell'organizzazione mafiosa volta ad "ammorbidire" lo Stato attraverso l'attacco ai suoi organi e al suo patrimonio artistico e culturale. 

A indurre negli esponenti della mafia l'idea di ricorrere alle nuove forme di attentato contro il patrimonio artistico fu un trafficante di opere d'arte. Questi spiegò ai capi di cosa nostra che "ucciso un giudice questi viene sostituito, ucciso un poliziotto avviene la stessa cosa, ma distrutta la torre di Pisa veniva distrutta una cosa insostituibile con incalcolabili danni per lo Stato". Fu in questa ottica e seguendo le medesime modalità esecutive che la mafia fece seguire alla strage di via dei Georgofili quella al Padiglione di Arte Contemporanea di via Palestro a Milano, il 27 luglio 1993, e, il giorno successivo, 28 luglio, a distanza di cinque minuti tra loro, gli attentati ai danni della Basilica di San Giovanni e della chiesa di San Giorgio a Velabro a Roma. A differenza della strage di via dei Georgofili e di quella di via Palestro, questi ultimi due attentati non provocarono morti, ma il ferimento di oltre venti persone e il danneggiamento di edifici e luoghi di culto.

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