
La nostra analisi non può che partire dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, recante Disposizioni contro la mafia, la quale, in ragione della pericolosità sociale dei soggetti indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, estende l'applicabilità delle misure di prevenzione personali previste nella legge 1423/1956. In particolare il legislatore del 1965 ha previsto che per i soggetti indiziati di appartenere ad associazioni mafiose possano essere applicate le misure della sorveglianza speciale e del soggiorno obbligato.
Durante l'attività di contrasto alle organizzazioni mafiose emersero, però, importanti limiti della legislazione antimafia allora vigente. Innanzitutto mancava uno strumento legislativo per perseguire il fenomeno mafioso come associazione, limite che tra l'altro aveva favorito che i processi di mafia si risolvessero con assoluzioni generali per insufficienza di prove o al massimo con qualche provvedimento di soggiorno obbligatorio. Inoltre, gli interpreti ravvisavano anche la necessità di aggredire le organizzazioni criminali nella loro componente economico-finanziaria, connessa all'esercizio di attività criminali, al riciclaggio di denaro sporco e al reimpiego dei proventi illeciti, attraverso provvedimenti tendenti al sequestro ed alla confisca del patrimonio illecitamente ottenuto.
La svolta legislativa è rappresentata dalla legge 13 settembre 1982, n. 646, recante "Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale, nota anche come "legge Rognoni -La Torre". Con questa legge si introducono due elementi fondamentali che definiscono il cambiamento di strategia nel contrastare la criminalità organizzata, modificando sostanzialmente la fisionomia della legge sulle misure di prevenzione. Si tratta di una legge ispirata da ragioni contingenti e finalizzata a ripristinare la supremazia delle istituzioni statali che era stata intaccata a seguito di alcuni "omicidi eccellenti". In seguito all'emanazione di tale legge veniva introdotto nel codice penale l'art 416 bis, che, per la prima volta nell'esperienza giuridica nazionale, sanzionava l'associazione di tipo mafioso cui riconosceva autonoma rilevanza penale, individuandone sia i metodi operativi, rappresentati dalla forza d'intimidazione del vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva, sia i fini specifici, cioè la commissione di delitti, la gestione o il controllo, in modo diretto o indiretto, di attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri. Da questo momento in poi, la mafia viene inquadrata nell'ordinamento come un'associazione, e finalmente non si perseguono più le singole persone o i singoli fatti delittuosi.
Altro grande cambiamento previsto dalla "Rognoni - La Torre" è l'introduzione, accanto alle misure di prevenzione personali, di quelle a carattere patrimoniale. Si prevede infatti il sequestro e la confisca dei beni dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza, rinvenuti nella disponibilità diretta o indiretta dell'indiziato di appartenere ad una associazione di tipo mafioso. Scopo di tali misure di prevenzione è l'impoverimento delle organizzazioni criminali e delle persone che sono comunque implicate in fatti delinquenziali. L'imprenditoria mafiosa, infatti, attraverso il controllo economico del territorio, impedisce lo sviluppo di energie economiche legali, fino ad influenzare negativamente l'intero sistema produttivo nazionale. L'azione dello Stato si esplica così in termini di indagini patrimoniali, sequestro e confisca dei beni, ed isolamento economico dal contesto territoriale in cui opera il soggetto accusato di far parte di una associazione mafiosa.
Nel biennio 1992-1993 "cosa nostra" reagisce alle pesanti condanne inflitte ai suoi vertici dal maxiprocesso attraverso una serie di attentati.
In questo contesto la società civile riesce a reagire e a mettere assieme le energie attorno ad un progetto che prevede l'utilizzo a fini sociali dei beni confiscati alla mafia. L'associazione antimafia "Libera", nel 1995, riuscì a presentare una petizione di legge popolare firmata da un milione di persone con la quale propose al legislatore di dare un'organica risistemazione e maggiore incisività alla disciplina della destinazione dei beni confiscati, sottolineando in particolare l'importanza della restituzione alla comunità dei cittadini di quanto le organizzazioni criminali hanno illegalmente conseguito grazie all'utilizzo di intimidazioni e violenza. Il 7 marzo 1996 venne così approvata la legge 109, recante Disposizioni in materia di gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati, attraverso cui furono aggiunti alla legge 575/1965 gli articoli dal 2 nonies al 2 duodecies. Con essi si realizza una importante riforma, che prevede, oltre ad uno snellimento della procedura di assegnazione, anche il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati alle mafie.
Al fine di provvedere all'amministrazione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati il Legislatore del 2010 ha ritenuto necessario istituire un organismo che assicuri l'unitaria ed efficace amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni mafiose, anche attraverso uno stabile raccordo con l'autorità giudiziaria e le amministrazioni interessate, garantendo un rapido utilizzo di tali beni. Questa novità istituzionale si inserisce in un contesto caratterizzato dall'eccezionale incremento delle procedure penali e di prevenzione relative al sequestro ed alla confisca di beni sottratti alla criminalità organizzata, aggravate ulteriormente dal consistente numero di beni già confiscati e non ancora destinati a finalità istituzionali e di utilità sociale.
Nasce l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Come si evince dalla breve ricostruzione normativa sopra richiamata, la legislazione in materia di misure di prevenzione è stata tradizionalmente caratterizzata da una notevole stratificazione normativa e da una estrema episodicità degli interventi legislativi. Da qui l’esigenza di una sistemazione organica della disciplina delle misure di prevenzione a cui ha risposto il legislatore con la l. delega 13 agosto 2010, n. 136, che dava incarico al Governo di adottare un decreto legislativo recante il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.
Nel 2011 entra in vigore il Codice delle leggi antimafia emanato con il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al fine di coordinare la normativa riguardante il contrasto al fenomeno dellamafia in Italia.
L’intervento più significativo di riforma del codice antimafia è stato realizzato con la legge 17 ottobre 2017, n. 161 (c.d. riforma Orlando), contenente «Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate», entrato in vigore il 19 novembre 2017. Si tratta di una riforma organica del codice antimafia che ha interessato circa 50 articoli del decreto legislativo 159/2011, che non si limita ad intervenire sulla disciplina sostanziale e processuale delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, ma che si estende anche all’amministrazione, gestione e destinazione dei beni confiscati e al regime di tutela dei terzi.
Successivamente il D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito nella legge n. 233/2021, recante disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose, ha introdotto alcune disposizioni dedicate a «investimenti e rafforzamento del sistema di prevenzione antimafia», come recita la rubrica del titolo V. Si tratta, in particolare, degli articoli 47-49bis, con cui sono state apportate alcune importanti modifiche al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il «Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136».
Sono in particolare due le novità di maggiore rilevanza: da un lato è stato introdotto il contraddittorio nel procedimento di rilascio dell’interdittiva antimafia; dall’altro lato sono state introdotte le nuove misure di ‘prevenzione collaborativa’, adottabili dal prefetto in caso di agevolazione occasionale.
Alla luce di tutto quanto sopra evidenziato, pertanto, si evince che la notevole qualità ed importanza degli interventi legislativi susseguitisi nel corso dei decenni pone l'Italia in una posizione di assoluto rilievo a livello mondiale in materia di legislazione concernente l'aggressione dei patrimoni accumulati dalla criminalità organizzata.
Tuttavia, la oggettiva completezza della legislazione antimafia si trova a dover fare i conti, subendone un significativo colpo in termini di efficacia dell'intervento, con le difficoltà concrete che affliggono il processo di destinazione dei beni confiscati ed il loro effettivo riutilizzo.
Infatti, nella maggior parte dei casi gli Enti locali destinatari dei beni si trovano nell'impossibilità di mettere in campo politiche e risorse che consentano di riutilizzare concretamente i beni loro destinati restituendoli così alla collettività.
Anche l'eccessiva durata dei processi, che molto spesso supera i dieci anni, incide negativamente sul processo di riutilizzo dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Infatti molto spesso i beni medesimi arrivano alla fine dei procedimenti in pessimo stato manutentivo, fatto che li rende poco appetibili per gli Enti locali che dovrebbero manifestare il loro interesse alla assegnazione al loro patrimonio per finalità sociali.
A tal riguardo occorre ricordare un altro importante strumento previsto dallo Stato per la migliore gestione dei beni confiscati rappresentato dalla Strategia nazionale per la valorizzazione dei beni confiscati attraverso le politiche di coesione, prevista dal comma 611 dell’art 1 della Legge di Bilancio per l’anno 2017. Questa rappresenta, appunto, lo strumento con il quale si effettua il coordinamento, l’indirizzo, la sorveglianza ed il supporto alle Amministrazioni statali, agli enti locali ed ai soggetti che intervengono a diverso titolo nella gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata.
Tuttavia, nonostante l'impegno dello Stato, ancora recentemente concretizzatosi nello stanziamento previsto dal PNRR di 250 milioni di euro da destinare a progetti per la valorizzazione dei beni confiscati nelle regioni del Mezzogiorno, l'attuazione di efficaci politiche di buon riuso dei beni confiscati rappresenta un risultato ben lontano dall'essere raggiunto.
Un passo importante verso la soluzione del problema potrebbe essere rappresentato sicuramente dal riconoscimento e dall'attribuzione di maggiore forza e capacità sia ai Comuni che ai soggetti del Terzo settore cui è affidata la materiale gestione dei beni e nella velocizzazione dell'intero procedimento di aggressione dei patrimoni illeciti e conseguente restituzione degli stessi alla collettività.